ABBUFFATE

01.03.2022

Disordini Alimentari. Scopriamo cosa è cambiato.

Ci troviamo sommersi in un vortice di emozioni che tentiamo di soffocare tra cene, inviti obbligati, tavole imbastite di ogni cibo ipercalorico... e poi loro: i dolci. Dolci di ogni tipo. E quando mangiamo al ristorante? In molti la formula "all you can eat" è una scusante per abbuffarsi e trasformarsi in tacchini ripieni. Negli adolescenti il cibo è direttamente sostituito da alcolici. Del resto, come possono migliorare con un modello genitoriale così distorto?

Come per tutti i comportamenti e le patologie, le neuroscienze li hanno studiati e classificati. Riconoscerli può servire ad affrontarli. Veniamoli nel dettaglio.

BINGE EATING una pratica, sempre più diffusa in Italia, rispetto ad altri paesi comunitari per colpa di abitudini che già appartenevano al nostro tessuto sociale: piatti abbondanti, derisione degli altri commensali verso chi non mangiava porzioni enormi e incapacità di affrontare queste situazioni. Proprio per un atteggiamento infantile, assunto e taciuto anche da specialisti del settore,  questo fenomeno è tristemente sottovalutato. Può iniziare dalla più tenera infanzia, quando a colazione i genitori fanno "la gara" a chi mangia più biscotti. L'imprinting che rimane è quello di divertirsi abbuffandosi, magari proprio di schifezze.

Pratica Binge Eating chi mangia in modo incontrollato, con una velocità elevata. A differenza dei bulimici, queste persone non vomitano e non usano lassativi. Ovviamente non è una pratica, come può essere uno sport. E' un disordine alimentare e, come tale, una patologia che provoca patologie fisiche e psicologiche.

Dai pochi dati a riguardo, raccolti dal 2014, soffrono di "Sindrome da alimentazione Incontrollata" quasi 400000 italiani in due fasce d'età: 30 e 45 anni con un rapporto donna uomo di due su tre.

Le abbuffate sono indipendenti dalla fame reale e quindi possono essere anche "fuori pasto", per esempio la sera con alimenti dolci o salati, ed in solitudine. Chi ne soffre, cerca senza trovarla, gratificazione con il cibo. La patologia è nel pieno del suo sviluppo quando il soggetto arriva a ripetere le abbuffate almeno due volte a settimana per sei mesi. Per eseguire la diagnosi, però, è necessario che le persone si riconoscano ed ammettano tale comportamento che stranamente, viene "cancellato" dalla loro memoria quasi come in preda ad un raptus di fame.

Le terapie farmacologiche adottate si limitano a serotoninergici per stabilizzare umore ed impulsività. Il supporto psicoterapico ed educativo nutrizionale sono essenziali per affrontare nella pratica questa patologia, sia in gruppo che individualmente.

Se vi riconoscete, sappiate che nella penisola sono tantissime le persone con questo disturbo che, con successo, lo hanno affrontato e vinto.

Ma l'ossessione per il cibo può essere patologica anche quando si sceglie quello sano. 

L'ORTORESSIA, ovvero l'insana ossessione per il cibo naturale e sano si sviluppa come pensiero fisso che occupa tutta la giornata. Questo pensiero può portare ad isolamento sociale quando si preferisce stare in casa con la scusa di mangiare sano anziché uscire con gli amici. Le forme più gravi, portano ad odio o a comportamenti che ne palesano l'aggressività ossessiva. L'età di insorgenza è variabile e, dalla mia statistica personale deduco essere più un fenomeno femminile. Esistono dei parametri di valutazione, come il Test di Bratman (dal nome del nutrizionista che nel 1997 ideò un test valutativo per l'ortoressia). Se vi riconoscete in questa categoria, sappiate che è sufficiente affrontare il problema apertamente. 

Il Dr. Bratman si sarebbe aspettato casi di cronaca con adolescenti vegetariane che accoltellano le madri che cucinano un ragù? Insomma, a volte una scelta etica nasconde odio represso, che nulla ha a che fare con cibo, religione o altro.

Per i giovanissimi non è neppure più il cibo ad essere un problema, quanto gli alcolici. Infatti, dal 2008, in Lombardia i pediatri sono informati e sensibilizzati sempre più su un fenomeno in rapida ascesa, già dai 10 anni di età. Si chiama BINGE DRINKING la pratica di assumere in modo abbondante e veloce (proprio come per il Bige Eating) quantità di alcolici in eccesso, con tutte le conseguenze sul corpo nell'immediato e nel futuro. Anche questa patologia è fin troppo sottovalutata da noi italiani, per la tendenza ad un comportamento già insito nella popolazione.

Come in tutte le patologie, esistono numerose varianti. La più grave e la più sviluppata in Italia è la Drunkoressia, ovvero l'abitudine di abusare di alcool evitando di mangiare. Spesso le adolescenti ricorrono a tampax imbevuti in bevande alcoliche, imitando un vecchio trucco delle modelle americane degli anni '80 per eliminare l'alitosi da alcool.

Restano in aumento, negli ultimi 20 anni, i casi di BULIMIA femminili e soprattutto maschile, con una crescita del 4%. Le difficoltà ad affrontare questa patologia sono vincolate al fatto che l'esordio è giovanile (dai 9 anni di età) e che quasi mai la comunicazione su questo argomento è semplice. Ancora più difficile è il compito del genitore di accorgersene ed ammettere una problematica legata ai propri figli. L'alternarsi di abbuffate compulsive a momenti di immediato pentimento che innesca vomito autoindotto, sono la classica raffigurazione della patologia. Con l'avanzare dell'età, il bulimico è in grado di liberare lo stomaco anche a distanza di ore. Come fare ad accorgersene? Non è semplice. Se vostro figlio è bulimico potrebbe non essere magro, come la credenza popolare pensa, anzi! spesso si inizia per regolare un sovrappeso o mantenersi normopeso. E' difficile anche valutare la differenza tra golosità e patologia. L'unico segno evidente è l'erosione dentale, proprio come nei casi di anoressia.

In una società in continua evoluzione è normale che l'essere umano si adatti. Non sono certa che queste patologie rappresentino un adattamento, bensì una fragilità. 

Volete affrontarle? Contattateci!

Dr.ssa Grazia Sardanu

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